Ora come ora il Blog è un’idea davvero poco originale per esprimere se stessi o gridare qualcosa a qualcuno, ma sembra sia il più efficace. Ed è per questo che è nato “L’Angolo di Fabio”, per dire quello che penso e condividerlo con gli altri. Riflessioni, pensieri e punti di vista…

mercoledì 12 febbraio 2014

Nel nome di un popolo che non conta più niente.

“Però si sa che dal 1945, dopo il famoso ventennio, il popolo italiano ha acquistato finalmente il diritto al voto. E' nata così la famosa democrazia rappresentativa, che dopo alcune geniali modifiche, fa si che tu deleghi un partito, che sceglie una coalizione, che sceglie un candidato, che tu non sai chi è, e che tu deleghi a rappresentarti per cinque anni. E che se lo incontri, ti dice giustamente: "Lei non sa chi sono io".” Giorgio Gaber


Ci sono alcuni articoli della nostra Costituzione che meritano di essere ricordati in questo momento storico.
Articolo 1 - “…La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
Articolo 48 - “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”.
Articolo 56 - “La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto…”.
Articolo 58 - “I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età…”.
Questi articoli ci ricordano come noi cittadini della Repubblica Italiana abbiamo il “dovere civico” di recarci nelle urne per decidere, deliberatamente, da chi farci rappresentare in Camera e Senato. Da dove ne uscirà il Presidente del Consiglio che nominerà un governo formato da ministri e traghetterà questa Nazione per cinque anni. O più o meno bene, o più o meno onestamente, o più o meno furbescamente. Funziona così, in poche e semplici mosse, non c’è niente da fare: voto, elezione Presidente, formazione governo e cercare di durare il più possibile.

Adesso, dopo che qualcuno ha inventato “l’economia creativa” per falsare i bilanci come meglio crede, in Italia i nostri politici sono stati capaci di meglio: hanno inventato la “democrazia creativa” per falsare/saltare le elezioni. Funziona in questo modo, adesso vi spiego, alla faccia della nostra costituzione. Si prende un governo votato democraticamente dagli italiani, dalla maggioranza degli italiani quindi nessuno si deve offendere se è salito quello che non piace. Poi si fa cadere. Si prende un professore e si fa senatore a vita per poi poterlo proporre come presidente del consiglio anche se non votato democraticamente, ma, si dice, bisogna farlo di tecnici questo governo perché deve far risalire l’Italia dalla crisi. Chi meglio di loro? Dopo si fa ritornare gli italiani alle urne, ma inutilmente. Il centro sinistra ha ottenuto un numero non sufficiente e, quindi, non riesce a trovare la maggioranza giusta per prendere in mano il governo. Ne segue un periodo di stallo con una Nazione senza presidente e ministri. È vero che non ha precedenti questa votazione, ma si decide di riformare un governo misto formato da esponenti di centro destra e centro sinistra. Mettendo tutti d’accordo e a tutti va bene. Per terminare, adesso anziché finirla con governi tecnici e governi transitori e finalmente riportare un governo legittimo e scelto dalla maggioranza degli italiani con votazioni democratiche che, ricordo, è un diritto e dovere del cittadino, si decide di far succedere al presidente e ai ministri creati a doc un altro presidente e ministri senza andare al voto. Come se fosse una monarchia che fa succedere gli eredi. Ma, costituzionalmente parlando, non è così. Questa è la “democrazia creativa”.

Credo che se il presidente del consiglio in carica, non scelto dai cittadini, lascia la poltrona si deve ritornare al voto e far decidere agli italiani da chi farsi governare. Non far decidere a loro chi mettere su quella poltrona. Noi paghiamo le tasse quindi gli passiamo lo stipendio, per cui dobbiamo almeno essere noi a decidere chi votare. Non è Nazione democratica quella Nazione che non fa votare i propri cittadini. È un insulto agli italiani che sono già stati umiliati per le vicende internazionali e rovinati da persone che non ha scelto, ma ha subito.
Quindi, concludo, per non continuare a insultare l’intelligenza degli italiani, per non far continuare a quella gente a farsi i fatti propri come meglio credono alle spalle dei cittadini e per legittimare un governo democraticamente eletto, bisogna assolutamente ritornare alle urne. Ricordando che solo un governo eletto democraticamente è un governo che rappresenta gli italiani. Nel bene o nel male.

p.s. a memoria non ho mai fatto un Post politico, ma adesso mi sento preso in giro come credo tutti i cittadini italiani. È ora di far valere il nostro sacrosanto diritto di decidere “chi ci deve prendere in giro” per almeno altri cinque anni.

martedì 4 febbraio 2014

iPhone e iPad: in questo mondo di gadget e di app.

È vero che l’eleganza, la semplicità e l’efficienza di un iPhone o di un iPad sono unici nel loro genere e, a mio parere, i migliori in assoluto. Poi ci si mette il fatto che è diventato un prodotto che fa moda e che, grazie al suo design, anche da spento o abbandonati in un angolo della casa, diventano un oggetto d’arredo che fa la sua figura. Come del resto un qualsiasi MAC, vecchio o di ultima generazione.
Nella considerazione di tutto questo, anche il mercato dei gadget si è mosso per produrre robe che siano eleganti, performanti e, perché no, simpatiche. Altre sono delle cafonate, è vero, ma bisogna accontentare tutti. Così come i gadget anche il mercato delle applicazioni sono in aumento con app costosissime o gratuite. Ma che siano oggetti per abbellire il prodotto o che siano applicazioni, hanno tutti un unico scopo: fare soldi cavalcando l’onda della moda del momento in campo tecnologico. Perché l’iPhone o l’iPad lo acquista l’operaio così come il manager di una multinazionale e piace al ragazzino così come all’anziano. È versatile, mettendo d’accordo chi lo usa per lavoro, chi per restare sempre in contatto con il mondo e chi ha bisogno di un prodotto che sia pratico, leggero e non ingombrante. È elegante, ma anche giovanile, sembra fatto apposta per il ragazzo in jeans e maglietta come per l’uomo elegante. E quindi, essendo un prodotto per tutti, anche se non per tutte le tasche, tutti lo vogliono. E il mercato delle app e dei gadget diventa sempre più esteso, talmente ampio che adesso il prodotto interagisce con l’applicazione. Alcuni di questi prodotti, devo ammettere, sono interessanti mentre altri sono completamente inutili.
Per esempio, ho trovato il braccialetto di gomma che, collegato bluetooth con l’iPhone, si illumina in base a quello che si riceve sul cellulare. Quindi se riceviamo una chiamata si illumina, per dire un colore, di rosso, se ci mandano un sms, verde e se riceviamo una mail, azzurro.
Poi ho trovato la bilancia che collegata a un’app ti indica tutto quello che devi sapere sul peso e anche qualcosa in più tipo: peso forma, massa muscolare, progresso giornaliero e, addirittura, l’aria che si respira all’interno del posto dove è collocata. Che poi, se pensiamo che la bilancia nella stragrande maggioranza dei casi è situata in bagno, sono proprio curioso di capire cosa segnala nella sezione “aria che si respira”. Ovviamente fa anche tante altre cose, inutili.
E per finire c’è anche, pensate, il reggiseno che si stacca automaticamente quando percepisce una situazione amorosa tra due persone. Ma non un amore così, ma il vero amore. Come funziona vi chiederete? Semplice! Il reggiseno misura la frequenza cardiaca di chi lo indossa e un’apposita applicazione su iPhone definisce il quoziente di “vero amore” andando ad aprire la chiusura dell’indumento intimo. In pratica la frequenza cardiaca determina che tra le due persone c’è un’intesa sessuale. Ha solo una piccola controindicazione: mai metterlo quando si corre, quindi quando si sta raggiungendo un autobus o un treno pronto a partire e quando si fa jogging non è consigliabile. Insomma, bisogna usarlo solo quando si esce con il proprio partner e senza emozionarsi troppo, per evitare magre figure davanti alla gente.
Per intenderci, tutti questi prodotti non sono per il portafoglio di tutti.
Poi ci sono le applicazioni. C’è una scelta talmente ampia che tra le tante si trovano anche cose utili, più o meno costose o totalmente gratuite. La mia attenzione, ovviamente, è andata su quelle costose che, a mio parere, a poco servono.
C’è “Water Globe”, un’app per avere un’utilissima palla di vetro sullo schermo che si muove agitando il cellulare oppure usando il dito. Una palla stile quella che si compra sulle bancarelle turistiche con la neve dentro che si muove. Quanto costa vi chiedete? Non tanto, appena 200 Euro.
Poi c’è “Touch Menu”, un’applicazione che sostituisce il menu cartaceo, così si può aggiornare di continuo la lista che propone lo chef. Costo dell’app 360 Euro. Non per star lì a fare i conti al ristoratore, ma quanto gli costa avere un iPad come menu? (considerando che oltre l’app deve acquistare più di un iPad) Quindi anche questa, sempre a mio parere, s’intende, è una cosa inutile.
Per finire c’è “iVip Black”, un’applicazione che alla modica cifra di 900 Euro (circa) ti offre il meglio quando si vuole viaggiare. Ti da la possibilità di prenotare super hotel extra lusso, limousine e super auto a noleggio, voli privati per tutto il mondo, ristoranti di lusso, ecc…, diciamo un TripAdvisor per multimilionari (ovviamente si paga tutto quello che si prenota).
Ormai siamo in un mondo che gira intorno all’oggetto più curioso e innovativo che un’applicazione sul cellulare possa farlo funzionare. E a noi, uomini e donne di questo pianeta, siamo sempre più alla ricerca dell’oggetto o dell’app più stravagante e alla moda del momento. Ormai chiunque volesse investire, deve farlo in questa direzione. Non importa se, vedesi il reggiseno su indicato, abbiamo il bluetooth proprio in direzione del cuore o se con il sistema del braccialetto abbiamo onde magnetiche sempre in movimento su tutto il corpo. E non importa se siamo pronti a spendere una carriola di soldi per avere la più glamour delle applicazioni. No, non importa niente di tutto questo, ma il nostro bell’iPhone e il nostro iPad deve essere il più innovativo, bizzarro, curioso ed efficace, con all’interno il meglio dell’app store. Anche se non arriviamo a fine mese per essere sempre sul pezzo in campo tecnologico.
Ma del resto, di cosa ci lamentiamo? Il mercato non fa altro che fornirci quello che noi richiediamo!

Aimhè!

giovedì 12 dicembre 2013

Galeotto fu il vagone (la verità)

Leggi il resto del racconto:


Le primissime luci del mattino fanno capolino dalla grande finestra illuminando la sua faccia e la sua mano si allunga verso la mia parte di letto. Sobbalza strofinandosi gli occhi e si rende conto che non c’è nessuno dall’altra parte del letto. Si alza andando verso il bagno pensandomi in cucina che preparo la colazione, ma non è così. O meglio, la colazione è preparata, ma sotto il piattino con le brioches c’è una lettera.

Ciao Claudia,
devo raccontarti una cosa, mettiti seduta e continua a leggere.
Ti racconto tutta la verità sulla mia vita.
Per iniziare non abito a Gorizia e, come sicuramente avrai capito, non faccio nulla di quello che ti ho raccontato, né imprenditore, né pilota di linea e nemmeno un croupier di casinò.
Sono un venditore di libri e abito sul lago di Garda, sono sposato e ho due figli.
Sono stato bene con te in questo mio viaggio che oltre ad essere stato d’affari è stato anche di relax. Incontrarti, è stato bellissimo. La mia vita è cambiata perché il tuo fascino mi ha completamente stregato. Mi devi capire, non potevo continuare a starti vicino altrimenti mandavo a quel paese la mia vita fatti di equilibri e di persone che non posso abbandonare. Se mi fossi svegliato al tuo fianco credo che non me ne sarei più andato via, ma ho delle responsabilità e, aimè, me ne sono reso conto solo qualche istante prima di scriverti queste due parole.
Ti auguro ogni bene
Per me è stata una grande avventura. Magari in un'altra occasione… chissà.
Un abbraccio
Fabio

Con tanta rabbia nella mente e nel cuore, Claudia, accartoccia il foglio e lo butta nella pattumiera, si siede e riordina un po’ le idee. Pensa a quello che è successo qualche giorno prima e a quella notte, ed è incredula. Pensa a quanto è stata stupida nell’innamorarsi di una persona che sembrava onesta e sincera. Le sono cadute tutte quelle certezze che fino a quel momento sembravano punti saldi del suo carattere. Era sicura che quel tipo di uomo non sarebbe mai entrato nella sua vita, nella considerazione che aveva imparato, a sue spese, di capire subito chi aveva di fronte. “Un uomo sposato, con figli… non ci credo”, continuava a ripetersi nella mente. “È un bastardo!”, cercando di attribuire tutta la colpa all’uomo che l’ha ingannata e delusa.
Come prima reazione prende il telefono e prova a mettersi in contatto. “…il numero da lei chiamato può essere spento o irraggiungibile”, continuava a ripetere quella voce registrata ogni qual volta provava a chiamare.
Si alza dalla sedia e si dirige verso il bagno togliendosi la vestaglia, entra in doccia cercando sollievo e si veste per uscire. “Una lunga passeggiata rimetterà in ordine le idee e se non le rimette in ordine, dovrò comunque farmene una ragione” pensa.

“Sei stato un bastardo, Fabio” penso mentre il mio aereo prende il volo.
“Già, sei proprio un bastardo!”
Del resto non potevo fare diversamente. Dovevo pensare alla moglie e hai figli, o forse dovevo pensarci quel pomeriggio quando in quel vagone non mi sono fatto i fatti miei. Ma lei è bellissima e il mio cervello in quel momento non è stato razionale e lo è stato ancora meno quando ho imparato a conoscerla. Fino a quando stamattina, dopo una nottata tra le sue lenzuola, ho resettato il tutto e ho preso una decisione: quella di andarmene prima che la situazione degenerasse. “Forse se fossi uscito un’altra sola volta con lei, mi sarei completamente innamorato”.  Completamente innamorato tanto da lasciare tutto.
“Forse è stato meglio così, concentrarsi sulla mia vita reale è la cosa più giusta!” Cerco di trovare una spiegazione onesta a quello che ho fatto. Se di onestà davvero si tratta.

Prendo il mio bagaglio dal tapirulan e mi dirigo verso la porta scorrevole. “La mia famiglia è lì che mi aspetta”, penso.
Prima di passare quella porta prendo la scheda del mio telefono e la spacco tra le dita prima di buttarla in un cestino.
Si apre la porta, sorriso a trentadue denti e la mia vita riprende come se nulla fosse successo.
O quasi.

martedì 12 novembre 2013

Galeotto fu il vagone (l’uscita – ATTO II)

Leggi il resto del racconto:


Mi fermo un po’ più a lato dell’ingresso della stazione, dove ci sono delle panchine. E lì seduta, con le gambe accavallate e lo sguardo rivolto nel nulla, c’è Claudia, con dei jeans e una maglietta bianca a forma di canottiera con una scritta al centro. I suoi capelli sempre legati all’indietro. Scendo dalla macchina e mi avvicino, lei mi viene incontro e ci salutiamo.
“prego signorina, in carrozza.” Le apro lo sportello della macchina e lei si accomoda “Io sono ospite, tocca a te decidere dove andare”.
“Bene, allora andiamo a Giovinazzo. Conosco un bel posto, piccolo e carino.”
Mi piacciono le donne decise. “Allora si va a Giovinazzo!”
Usciamo da Molfetta, prendiamo la provinciale per Giovinazzo e ammazziamo il tempo chiacchierando. Indicandomi la strada arriviamo a destinazione, cerco parcheggio ed entriamo nel locale. Ci accomodiamo in un piccolo tavolo e ordiniamo due birre e, essendo in un locale di stampo spagnolo, anche tortillas farcite e burritos.
“Come hai trovato questo posto?”
“Ci sono stata un po’ di tempo fa con degli amici.”
“Mi piace che hai scelto un posto così per mangiare qualcosa. Come piace a me: un posto piccolo, con buona birra e del cibo sfizioso. Anche poco formale e confidenziale.”
“Sono contenta!” mi dice sorridendo.
Tra una chiacchiera e l’altra finiamo quello che abbiamo sul tavolo e finiamo l’ultima di due birre.
Le dico “proseguiamo?”
“Si!”.
Ci alziamo e andiamo a fare una passeggiata per digerire, ma non prima di aver preso anche due digestivi.
A una certa ora ci siamo messi in macchina e l’ho riaccompagnata a casa, la strada del ritorno è stata la parte più piacevole della serata. L’alcool ci faceva dire cose strane e i momenti esilaranti si sprecavano tra battute e piccoli scherzetti. Le sue indicazioni mi portano in una via un po’ fuori dal centro, dove riesco a trovare un posto di fronte al suo portone e, seduti in macchina, continuiamo a scambiare delle chiacchiere. Finché lei: “Fabio, vuoi salire? Beviamo qualcosa da me.” Non me lo faccio dire una seconda volta: “Va bene!”
Saliamo le scale e lei mi fa strada sciogliendosi i capelli. È la prima volta che la vedo con i capelli sciolti, si gira e mi dice: “come sto così?” – “Bellissima, come sempre!” Fino a quel momento quello che mi ha colpito di lei è stato lo sguardo e le gambe, adesso si è aggiunto un particolare in più: le natiche. Da quel jeans si può immaginare tutto e quello che m’immagino non dovrebbe deludere eventuali aspettative.
Apre la porta e mi fa entrare.
Sarà stato l’alcool o sarà stata la situazione, ma non fa in tempo a chiuderla che già le mie labbra sono a contatto con le sue.
Mentre ci baciamo lei mi guida verso la sua alcova.
Ormai mezzi nudi ci buttiamo sul letto e iniziamo con i preliminari.
E poi…
…il resto…
è poesia!

martedì 5 novembre 2013

Galeotto fu il vagone (l’uscita)

Leggi il resto del racconto:

“Ciao, Claudia, come va?” accostando le mie labbra alle sue guance e lei, contraccambiando, mi dice “tutto bene, tu?”
“Non ci possiamo lamentare!”
“Vorrei ben dire.” Sorridendomi.
Lei, come ieri, è bellissima. I capelli sempre raccolti all’indietro, un trucco invisibile e un paio d’occhiali da sole. Questa volta ha un vestito rosso che parte dalle spalle, coprendole, e arriva fino a un po’ più su delle ginocchia. La parte alta è chiusa con dei bottoni, al centro per stringere c’è una cinta in stoffa, annodata a fiocco, dello stesso colore del vestito, e nella parte bassa c’è una gonna che svolazza a ogni suo movimento.
Mentre in treno mi ha colpito il suo viso, questa volta mi hanno colpito le gambe: lunghe, lisce e proporzionate al resto. Insomma, belle.
Ci incamminiamo verso il centro e ci lasciamo dietro piazza Moro per addentrarci in Piazza Umberto. Fino a quel momento si è parlato di come abbiamo passato la sera prima, ma poi ci interrompiamo e il discorso non può che incentrarsi su come Bari fosse piena di extracomunitari. Alcuni sono lì per passare un po’ di tempo, altri sono lì per sbarcare il lunario e altri per traffici illeciti (almeno questo ci sembra). Proseguiamo verso la via più cool di Bari, la centralissima via Sparano (non so dove va messo l’accento, ma non è la via dove si spara a Bari). Camminiamo discutendo su dov’è andata la crisi, visto il via vai delle persone nei negozi delle marche più costose. Quella crisi che da qualche anno, ci dicono, è anche in Italia, ma che oggi, guardando tutta quella gente, sembra colpisca solo me e Claudia. Entriamo in un bar alla fine della via e ci facciamo un bel aperitivo. Seduti in quel caffè, come la canzone di Gino Paoli, lei mi dice: “Fabio, ieri ti sei spacciato per un imprenditore di vini… e oggi?”
“Sei davvero curiosa, Claudia”
“Sono donna!” replica sorridendo.
“Io in realtà... tu mi vedi così, ma… io sono un pilota d’aerei di linea che ha deciso di fermarsi a Gorizia. Giro il mondo, mi soffermo per visitarlo e riparto per un’altra meta. Ma il mio tanto girare mi riporta sempre, anche per lunghi periodi, nella mia amata Bari.”
“Caspita!” con viso sorpreso ma, secondo me, solo perché guardandomi non si direbbe che sono un pilota d’aerei.
“Ovviamente è una bugia!”
“Non vuoi proprio dirmelo?”
“Ok!” strizzandole l’occhio.
“Menomale!” replica.
“Sono un croupier.” Mi guarda con una faccia che sembra dire –questo mi sta dicendo un’altra cazzata– “sai di quelli che nel casinò stanno dietro un tavolo verde, ti danno le carte e ripartiscono i soldi?
“So chi è un croupier e so che mi stai dicendo un’altra cavolata.”
“E chissà…”
“Vabbè… ci rinuncio. E poi non voglio un’altra storia di fantasia perché si è fatta una cert’ora e dobbiamo andare a mangiare. Giuro, io potrei stare a lungo a sentire queste storie, ma il mio stomaco no. Andiamo!”
Io sorrido e finisco di bere il mio aperitivo e lei fa lo stesso, ci alziamo e andiamo via.
Camminiamo e giriamo a destra su Corso Vittorio Emanuele dove, dopo due passi, ecco un posto con un bancone pieno di ogni ben di Dio targate Bari. Tra cui la buonissima focaccia con variante mortadella all’interno, panzerotti fritti e al forno e alcune cose simpatiche da stuzzicare. Non ci sono dubbi, ci fermiamo qui. Ordiniamo e ci sediamo al fianco del balcone in uno dei piccoli tavoli.
Seduti e mangiando lei mi racconta che le piace giocare a tennis, segue a mozzichi e bocconi il calcio (le piace il Bari), Elisa è la sua cantante preferita e se dovesse lasciare tutto per trasferirsi in un posto diverso da dove vive, non ha dubbi: Australia, precisamente, Sidney.
“A cambiare le molle ai canguri?” rispondo io. Lei sorride e mi dice: “Non ti mando a quel paese solo perché è da poco che ci conosciamo.”
Io le racconto della mia passione per la Formula 1 e che le domeniche da marzo a novembre sono condizionate da quell’evento, quando ho voglia di seguire il calcio (tifo Bari anch’io) lo faccio comodamente sul divano e non vincola i miei impegni, Renato Zero è il mio cantante preferito, conosco le regole del tennis e ogni tanto lo seguo, ma la mia pazienza non supera il primo set e non lascerò mai l’Italia perché credo, da ottimista, che bisogna darle sempre un’altra opportunità. Anche se i bonus stanno esaurendo.
Parliamo un altro po’ e finiamo di mangiare quello che abbiamo nel piatto. Usciamo e lei ritorna al suo lavoro ed io a casa, non prima di concordarci per un altro appuntamento. “Facciamo alle otto di sera sotto casa mia dopodomani?” mi dice.
“Se sapessi dov’è casa tua, molto volentieri!” aggiungo.
“È vero!”, sorride, “allora facciamo fuori alla stazione di Molfetta, mi faccio trovare li. Mi raccomando, alle otto in punto.”
“Sarò puntualissimo come un orologio svizzero.”
Un abbraccio e un bacio da amici e ognuno per la propria strada.



Subito dopo averla lasciata cammino verso casa e penso già a dopodomani. È troppo tempo, e, conoscendomi, sono sicuro che la mia mente non penserà ad altro.
Così è stato.
Ma oggi sono pronto. Mi metto in macchina e parto per la ridente Molfetta non prima di essermi lavato (ovviamente), di aver lavato la macchina, fatto il pieno, comprato l’abre magic, prelevato in abbondanza (non sia mai che facciamo magre figure) e assicurato, dopo ore passate davanti allo specchio, che il mio semplice jeans e la camicia mi stiano bene.

martedì 22 ottobre 2013

Galeotto fu il vagone. (l’appuntamento)

leggi la prima parte del racconto: Galeotto fu il vagone. (l'incontro)

Le dico, dopo una serie di movimenti e fastidiosi rumori, “ma per caso è partito?”
“Sembra di sì.” Mi risponde con un piccolo sorriso.
“Senti Claudia, ho sempre pensato che la cosa bella di questo treno è che non fai in tempo a partire da Bari che arrivi già a Santo Spirito. Ed è per questo che preferisco il treno alla macchina. Ma in questo preciso istante credo che sia il suo più grande difetto. Quanto vorrei che Santo Spirito si trovasse nei pressi della Norvegia e Molfetta la fermata dopo”.
Sorride – “non sarà troppo lontano?”
“Vabbè… facciamo almeno dopo Bologna”.
“Meglio!”
“Vorrei che questo viaggio durasse tanto per poter rimanere un altro po’ a parlare con te”.
“Prossima fermata Bari Zona Industriale” ci interrompe la voce automatica del treno.
“Però! Una volta, quando andavo a scuola, se non te ne accorgevi tu, arrivavi a Foggia. Mentre adesso ti avvisano stazione per stazione. Fantastico!”
“È vero! Ma sono altri tempi adesso.” Doppio sorriso, il mio e il suo.
Continuo a parlare di come mi dispiace che questo viaggio finisse così in fretta. Non glielo dico, ma lei è la persona più interessante che abbia mai incontrato nel treno… fin dai tempi della scuola.  Non faccio in tempo a concludere il discorso che, tra una sviolinata di qua e una di la, su come è bello questo viaggio e su come menomale ho preso questo treno, la voce incalza a mio sfavore.
Prossima fermata Bari Palese.
Adesso non ho davvero più tempo e cambio completamente discorso.
“Claudia…” iniziando a parlare.
“Fabio…” mi interrompe.
“Mi hai chiamato?” faccio dello spirito. Lei sorride, non si aspettava la contro battuta, e mi dice: “dimmi.”
“La mia fermata è la prossima…”
“Oh… non ti sfugge proprio niente!” interrompendomi.
Rido e continuo “…e non vorrei finisse qui questa chiacchierata. Ti lascio il mio numero di telefono e se ti va, chiamami”. Prendo una penna e la Moleskine dal mio borsellino e incomincio a scrivere: Fabio, 339******* (col piffero che lo scrivo su questo Blog), quello del treno che scende a Santo Spirito. Strappo e glielo consegno, lei lo legge, sorride e mi dice: “grazie!”
“E poi?” le dico
“E poi, che?”
“Nel senso… e poi, una volta che ti ho dato il numero dopo averti fatto passare un piacevole oretta, perché non pensare in grande? Magari farti passare una piacevole serata”.
“Ci penso!”
“Pensaci!”
Prossima fermata Bari Santo Spirito.
Penso –quanto mi sta sulle palle questa voce elettronica–
Preparo le mie cose, saluto, le do un bacio sulle guance come si fa tra amici e scendo. Un ultimo saluto con la mano mentre il treno riparte e poi, giù nel sottopassaggio.
Con tutta la calma che mi contraddistingue, mi rimetto gli auricolari e proseguo verso casa e penso.
Mi rendo conto di non essere quel granché o meglio, di primo impatto non affascino e, quindi, devo sempre giocare la carta simpatia che non sempre a primo colpo funziona. Anzi, solitamente succede il contrario e la frase che mi sento dire spesso è: “e chi te la dà tutta questa confidenza” – da ambientarla nel dialetto/modo di dire che va da Torino a Palermo, da Bari a Gorizia, da Cagliari ad Ancona. E mi sono meravigliato che, finalmente, una donna ha apprezzato, è stata a sentirmi e, pare, le sia piaciuto questo mio modo di fare. Sono felice per questo e con un bel sorriso, cammino verso casa. Mentre sono a pochi metri penso, “mhò me lo faccio uno spritz!”. E qual è il miglior posto a Santo Spirito per uno spritz? Il bar AlBarAdAn: vicino casa, di ottima compagnia e con un viavai di gente strana che ti fa sorridere.
Mentre sorseggio il mio spritz, accompagnato dalle solite olive e code di gambero alla salsa rosa, squilla il telefono. Un numero che non ho in rubrica. Il sorriso è a trentasei denti.
“Pronto?” con una voce squillante e brillante.
“Ciao, sono io” con voce delicata.
“Buonasera dottore!” incalzo con una battuta che ricorda la famosa canzone di Claudia Mori.
“Mhè, non fare lo scemo” (ovviamente in dialetto).
Stranito, chiedo “chi sei?”
“Sono io, Mamma!”
-Mavaffanggul- penso. “Mamma che c’è”
“Quando rientri passa a prendere il pane!”
Sconfortato, bevo quello che resta tutto in un sorso, pago e mi dirigo, demoralizzato, verso il panificio più vicino.
Rientrando, ecco che risquilla il cellullare e ancora un numero non presente in rubrica mi appare sul telefonino.
“Pronto.” La mia voce è quella di uno sicuro che dall’altra parte c’è la mamma che ha appena cambiato numero di telefono.
“Ti sembra questo il modo di accogliermi al telefono?” con una voce squillante.
Riconosco la voce: non è mamma. Quindi, contento e ottimista dico: “ciao Claudia! Ci speravo!”
“Menomale! Io pensavo non mi riconoscessi”.
“Come potrei dimenticarmi di te? È stato il viaggio più bello della mia vita.” (un po’ da paraculo)
“Senti Fabio, pensavo… ma che ne dici se domani, a pranzo, ci vediamo in centro a Bari per mangiare qualcosa?”
“Preso! Mi libero per mangiare qualcosa con te”
“Perché sei una persona impegnata a Bari?”
“No, ma che significa? È un modo diverso per dire va bene.”
“Ci vediamo in stazione, al binario quattro ovest?”.
Sorridendo le dico “perfetto! A domani.”

mercoledì 16 ottobre 2013

Galeotto fu il vagone. (l’incontro)


Stazione di Bari, binario quattro ovest, ore diciotto in punto.
Il treno è sul binario, riesco a vederlo dall’ingresso laterale, con le porte chiuse, tutto spento e alcune persone iniziano ad arrivare. Ci sono anch’io tra queste persone con il mio ipod che riproduce ormai da tempo Chiara Civello. Arrivo al binario e dopo qualche minuto, finalmente, si aprono le porte ed entro cercando il posto migliore, il mio posto migliore -quello di sempre-: terza carrozza, perché solitamente si ferma all’altezza del sottopassaggio della stazione di Santo Spirito; prima fila di destra, dove c’è il posto singolo, perché puoi appoggiare i gomiti sulle gomitiere senza dover chiedere scusa e, a destra, perché dal vetro si riesce a vedere il mare; il corpo deve sistemarsi nella direzione della motrice, perché nelle accelerate, che sono più frequenti e fastidiose, si appoggia la schiena allo schienale.
Mi siedo e guardo il finestrino, sono le diciotto e sette circa quando a un certo punto sento una voce femminile, nella pausa tra una canzone e l’altra, che mi chiede se è libero il posto difronte. Garbatamente e indicando con la mano dico “prego!”, senza badare e continuando a sentire il mio ipod guardando nel vuoto fuori dal finestrino.  Solitamente non me ne curo mai di chi mi siede difronte, ma poi penso: “metti che è una bella ragazza?”.
Lo era.
Capelli neri e raccolti a coda nella parte alta della testa, grandi occhi profondi e di un marrone intenso, la bocca minuta e il collo scoperto è affusolato, liscio e ben distribuito. Ha un vestito bianco con tonalità nere qua e la che parte dal seno (né troppo grande né troppo piccolo, giusto, comunque ben coperto), lasciando scoperte le spalle, e arriva fino alle gambe. Un vestitino che sembra partire come maglietta e si snoda a pantalone all’altezza della vita dove c’è una cinta, stretto al punto giusto che quando ha accavallato le gambe tutte le forme hanno preso una linea dolce e sensuale. E per finire l’opera: i piedi, si vedono appena, scoperti da una scarpa aperta. Ben curata e senza troppo, anzi quasi niente, trucco. Bella e naturale. Anche lei con degli auricolari e presumibilmente anche lei ascolta musica. La guardo in tutta la sua bellezza da capo a piedi.
È un bel po’ che la guardo e lei se ne accorge. Solitamente quando capita distolgo sempre lo sguardo, ma questa volta non ce l’ho fatta e lei si gira dall’altra parte forse infastidita. Io continuo a guardarla finché lei non incrocia nuovamente il mio sguardo e, con tutta la calma di questo mondo, si toglie gli auricolari, mette le mani sulle gambe e mi dice: “perché mi guardi?”
“E?”, mi tolgo gli auricolari anch’io e spengo l’apparecchio.
“Perché mi guardi?”
“Io non la sto guardando, la ammirando!”
“Prego?”
“Sa… le cose belle non si guardano, si ammirano!”
Mi guarda sorpresa, quasi incuriosita e mi dice: “in che senso?”
“Le faccio un esempio: quando si va nella Galleria dell’Accademia di Firenze e ci si ferma davanti al David di Michelangelo, mica ci si ferma a guardare… la si ammira! Perché è una bellezza fuori dal comune”.
“Mi stai dando del David?”. Sorridendo.
“No. Anche perché lei è una donna e, per quello che mi riguarda, mi sono più simpatiche le donne che gli uomini. Poi quello è di marmo, per quanto raffigurato come un giovane è vecchio di qualche secolo ed è alto. E se mettiamo le informazioni al posto giusto: uomo, di marmo, apparentemente giovane e alto, se tanto mi da tanto come proporzioni… diciamo… mi preoccuperebbe stargli vicino come stiamo vicino io e lei. Poi, diciamocelo, dopo tanti anni li, immobile e con tutte quelle donne che lo osservano, il ragazzo potrebbe essere pericoloso avercelo difronte”.
Lei sorride con gusto e “bella la storia, ma smettila di darmi del lei; piacere, Claudia”.
“Fabio, piacere”.
La conversazione fino a quel momento è stata piacevole anche perché lei sorride e quel sorriso è davvero bello. Un sorriso a denti stretti, con la bocca minuta che si apre appena, non volgare e semplice, un sorriso che ti tranquillizza, ma soprattutto: affascina. Affascina tanto.
Lei: “sei di Bari?”
“Sì, da parte di papà. Venezia da parte di mamma. Ma sono nato qui, in questa terra meravigliosa ormai non più mia, aimè”.
“Cosa vuol dire non più mia?”
“Ormai sono anni che non vivo più qui. Mi sono trasferito da tempo a Gorizia, piovosa città dell’estremo nord-est ai confini con la Slovenia”.
“E che fai nella piovosa città?”
“L’imprenditore. Ho una tenuta sulle colline del Collio, zona molto ricca di vigneti, e ho un’azienda che produce vini per tutta l’Italia e nelle zone più importanti del mondo, ho un sacco di dipendenti e un fatturato molto alto”.
“Davvero?” – Mi guarda con un mix di disgusto per quel mio modo di fare e lo stupore. Ma penso più per quel mio modo di fare.
“Certamente… No!” – Scoppia a ridere e sorrido anch’io. “Tu invece Claudia, che fai, dove vivi?”.
“Io abito a Molfetta, ma lavoro a Bari e, contrariamente al tuo pseudo super lavoro, io faccio la commessa in un negozio… semplicemente la commessa” – piccolo ghigno.
Sorrido – “ragazza semplice”.
Si continua a parlare e a sorridere. Mi piace quel suo modo di essere.
La conversazione è interrotta alle diciotto e trentacinque quando un rumore molto fastidioso ci interrompe, il treno è pronto per partire.
E parte.